Erano ormai le sette di sera di un giorno d’ottobre quando il capitano decise di salpare. Mancava meno di un’ora al tramonto e l’equipaggio,tra lamentele e mugugni,cominciò le manovre per lasciare l’ormeggio. Il cielo era dello stesso colore del mare: grigio, e l’orizzonte non c’era. Nessuna linea mostrava dove finiva il mare e cominciava il cielo a dimostrare che l’inferno si era impadronito dei due mondi unendoli in un’unico incubo. Mentre il vascello usciva silenzioso,strisciando come un esile serpente,il suo capitano pregava di non essere visto da nessun dio. L’equipaggio invece ripeteva, come fosse un rito scaramantico i gesti di sempre per non pensare a nulla. Il lavoro era sempre un rifugio,un’ancora di salvezza per le loro anime che sapevano essere destinate all’inferno che si avvicinava lanciando saette. Le tenebre erano calate anche sul gatto di bordo che invece di dar la caccia ai topi,restava raggomitolato dentro una gomena. Il vascello andava incontro al suo destino. Entrando nel vortice della tempesta,il capitano cercava di sfuggire a se stesso. Le vele furono issate ed il vascello cominciò a gemere come una sirena ferita. La densa scia luminosa dietro il giardinetto era l’unica goccia di speranza in quella notte di paura. L’equipaggio era nelle mani di un capitano senz’anima che vagava alla ricerca dell’oblio ed era chiaro che nessuno avrebbe fatto ritorno. Ma mai nessuno aveva dubitato delle sue capacità e men che meno del suo coraggio. Nessun uomo o pesce conosceva meglio di lui l’ignoto oceano. L’equipaggio era soggiogato dal suo sguardo che poteva scrutare oltre la curva terrestre. Egli sentiva arrivare il vento come un cane sente il padrone rientrare. Senza nemmeno guardare,vedeva le vele pungere a riva e dava gli ordini per un perfetto assetto. Poteva scorgere all’orizzonte, una macchia di sabbia dove calare il ferro e passare una notte a ridosso del reef. Il capitano parlava la lingua degli uccelli,dei delfini e persino delle meduse. Guardandole aveva evitato di finire contro il rock point a duecento leghe dalle isole Kraimann. In Poligonia aveva trovato un passaggio nei ghiacci quando ormai la situazione era vicina alla fine,seguendo i narvali di Sandcreek. Nel cielo leggeva poesie quando l’equipaggio vomitava. Le vele erano le sue ali,la chiglia ed il timone le sue gambe,l’equipaggio le sue braccia,l’oceano il suo cuore. Ma la testa del capitano aveva vita propria. Di notte i fantasmi del vascello gli ricordavano quel che aveva fatto o, peggio, quello che non aveva fatto. Prima che il mare lo prendesse aveva avuto una moglie,dei figli,una casa,in tre parole,una vita normale ed ora,di normale era rimasto soltanto il gatto. La schiuma bianca delle creste cominciava a lambire la falchetta. Il trincarino,ad ogni rollata beveva come un marinaio alla taverna dopo sei mesi di pesca in alto mare. I lampi illuminavano la pioggia battente. Il gatto fuggi sottocoperta.