Quello che sta succedendo può non essere soltanto un disastro ma una fantastica occasione per cambiare, in meglio. Sono sempre stato spaventato dalla massa e non mi sono mai sentito tanto solo come nel mezzo della folla. Moltitudine e solitudine non sono un paradosso ma una realtà per milioni di persone. Per questo fin da giovane uscivo da Milano con qualsiasi mezzo e me ne andavo sull’Adda, sul Ticino o sul lago Maggiore a pescare lucci nella nebbia. Ricordo benissimo il fruscio dei remi e la gioia di essere in sintonia con la natura umana, la mia. Essere dei marginali non significa essere asociali, anzi l’esatto contrario. In mezzo alla folla è impossibile socializzare. Invece, in giro con gli amici, a cena con i vicini, nel rifugio in alta montagna passandosi la grolla o in barca tirando bordi per vedere chi arriva prima senza accendere il motore, è possibile riconnettersi con se stessi e con gli altri.

Bisogna ridefinire cosa è davvero necessario in questi giorni nei quali è vietato comprare quaderni e matite ma è permesso comprare le sigarette. Aperti i grandi supermercati, chiusi i musei. E bisogna riconfigurare la scuola che ha visto grandi tagli. Si può ora e aggiungo si deve approfittare del Covid 19 per tornare alle buone pratiche: via i grandi magazzini che vendono montagne di prodotti inutili e avanti con i negozietti di quartiere: il salumiere, il panettiere, il calzolaio. Basta con gli accorpamenti delle scuole, se ci sono pochi alunni, meglio! Meno rischio di diffusione del virus e più istruzione per i ragazzi che saranno meglio seguiti in classi simili a quelle che furono un tempo. Basta con le vacanze tutti insieme. Le ferie scaglionate permetterebbero di far vivere le località che hanno i turisti tutti assieme in un breve periodo come qui in Sardegna. Basta con i barconi che portano trecento persone a Budelli trasformando un paradiso in una piscina comunale. Numero chiuso ovunque. Il distanziamento sociale è una buona cosa se lo si gestisce.
E poi basta con la sovraproduzione: troppo pericolosa. Troppi operai al lavoro vuol dire rischio di contagio. Piccola produzione e piccoli spostamenti dei prodotti. La fuga dalle grandi città ci ha mostrato come un semplice virus può mettere in dubbio la sicurezza di milioni di persone. Fuggendo, chi in campagna, chi al mare, chi in montagna, la gente spera di allontanarsi dal rischio di contagio, poco importa se laggiù non c’è campo. Se non c’è il centro commerciale, il cinema, il parrucchiere, la palestra. C’è il sole, il mare, l’aria pulita. In un mondo diverso si possono pensare scenari diversi dove il superfluo non è più necessario. Si ricomincia a fare il pane con le mani, a prendere l’acqua dalla fonte, ad ascoltare il canto degli uccelli. A guardare i propri figli che nuotano.
Forse si può vivere diversamente. Forse è possibile abbandonare le città e riaccendere la candela della pace ritrovata. Basta non avere paura del cambiamento. D’altronde è necessario. È da molti anni che lo sappiamo. Questo virus ne è la prova irrefutabile: non si può sempre aumentare produzione e consumi senza che vi siano conseguenze. E allora cambiamo. Facciamo un passo avanti e disegnamo con le matite colorate ritrovate un mondo più lento forse ma sostenibile. Senza grandi concerti sulla spiaggia, senza fiere del latte e del maiale, senza carne a pranzo e a cena sette giorni su sette, senza miliardi di polli,di mucche e di pipistrelli fatti arrosto. Senza merendine e senza voli quotidiani NewYork-Ovunque. Senza paqueboats, senza alta velocità. Solo cielo,mare,montagna,bosco,un bicchiere di vino,un buon libro e qualche amico.
